Il Cimitero delle Fontanelle
Storia e leggende del più impressionante ossario d'Italia
Come spesso accade in molte festività, anche il culto dei morti si pone ai limiti tra religione e folklore, alimentando pratiche che si discostano dalla fede e sconfinano nella superstizione. Il Cimitero delle Fontanelle di Napoli è forse uno degli esempi più emblematici della completa e indissolubile compenetrazione tra sacro e profano.
Situato nel quartiere popolare della Sanità, il Cimitero delle Fontanelle è un antico ossario che accoglie ben 40.000 resti di vittime della peste e del colera, che hanno flagellato il capoluogo partenopeo rispettivamente nel 1656 e nel 1836. Appena si varca l'ingresso l'impatto è davvero impressionante: un silenzio spettrale percorre i 3.000 mq del cimitero, accogliendoti in quella che è una imponente cava di roccia tufacea gialla che trasuda storia e leggenda. Appoggiate a terra lungo tutto il perimetro delle tre navate trapezoidali e disposte l'una sull'altra ad incastro perfetto, ti ritrovi a camminare tra migliaia di capuzzelle (così i napoletani chiamano i teschi dei defunti del luogo) in un'atmosfera davvero surreale.
Il nome delle Fontanelle deriva dalla presenza di abbondanti sorgenti e fonti d'acqua in questa zona della città.
Le tre navate
L'ossario è suddiviso in gallerie così ampie che vengono definite navate, ognuna delle quali conserva il nome della sua funzione originaria. Al suo ingresso venne edificata nell'800 la chiesa di Maria Santissima del Carmine, regolarmente utilizzata per le celebrazioni liturgiche fino agli anni ottanta.
La navata di sinistra è nota come navata dei preti perché ospita i resti provenienti dai terreni consacrati di chiese e congreghe; imboccando la galleria ci si imbatte nella cappella dedicata al canonico Gaetano Barbati leader delle prime squadre di fedeli che si impegnarono nella "sistemazione" dei resti; ai suoi piedi vi è una bara contenente due scheletri adagiati l'uno accanto all'altro: secondo la credenza popolare si tratta de i due sposi, la cui storia è legata ad una delle "capuzzelle" più famose del Cimitero: il Capitano.
Una leggenda vuole che una giovane promessa sposa, molto devota al teschio del capitano, ingelosì a tal punto il fidanzato per le cure che riservava alla capuzzella, che questi conficcò un bastone di bambù nell'occhio del teschio mentre, schernendolo, lo invitava a partecipare al loro matrimonio. Il giorno delle nozze apparve tra gli ospiti un uomo in divisa di carabiniere. Lo sposo gli chiese di identificarsi e questi gli rispose che era stato lui ad invitarlo dopo avergli accecato un occhio; detto questo si svestì e si mostrò come uno scheletro. I due sposi e gli invitati morirono sul colpo.
Procedendo a sinistra, ecco spuntare l'inquietante figura del "Monacone": la statua decapitata di San Vincenzo Ferrer in abito domenicano, mentre gettando lo sguardo in fondo si riesce già a scorgere il Tribunale: l'antro in cui si stagliano tre croci con una base di teschi.
La navata centrale prende il nome di navata degli appestati perché accoglie le ossa delle vittime delle terribili epidemie che colpirono la città. Qui si erge in tutta la sua terrificante bellezza l'ossoteca: potrete essere colti da vertigini di stupore ed inquietudine alla vista di una ammasso di tibie e peroni ammucchiate in modo da costituire il frontone dedicato a Cristo Risorto, la cui statua trionfa all'interno della cappella.
Infine la navata destra è chiamata navata dei pezzentielli perché ivi riposano i resti della povera gente che non aveva i mezzi per una degna sepoltura.
Il culto delle "anime pezzentelle"
Prima si usava adottare un teschio, dargli un nome, e andarlo a pulire per dargli refrigerio e così la capuzzella ti concedeva la grazia o ti appariva in sogno per darti i numeri vincenti del lotto.
Questa frase, pronunciata tante volete dagli anziani del quartiere, sembra criptica e oscura, ma una volta che ti rechi al Cimitero delle Fontanelle si esplicita in tutta la sua potenza.
Stiamo parlando del cosiddetto culto delle anime pezzentelle: prima che la pratica fosse proibita molte donne si recavano al cimitero e "accudivano" un teschio prescelto. La speranza era che l'anima del defunto, grata per le preghiere e le cure ricevute, intercedesse nell'aldilà per esaudire i desideri dei vivi, in particolare richieste di soccorso e fortuna.
Al teschio veniva dato un nome, addirittura una storia e un ruolo, entrando a tutti gli effetti a far parte della famiglia del devoto: la capuzzella veniva lucidata e pulita, spesso adornata con fiori, fazzoletti ricamati o, nel caso di grazia ricevuta, i devoti particolarmente facoltosi o affezionati erigevano una piccola teca con l'incisione del nome del cranio e del suo proprietario.
Grazie alla devozione dei vivi, l'anima appariva in sogno rivelando la sua identità e chiedendo preghiere e suffragi in cambio della sua intercessione.
Se il teschio risultava particolarmente benevolo e sudava (la condensa di umidità veniva interpretata come una grazia concessa) il devoto tornava regolarmente a far visita la capuzzella, determinando spesso una vera e propria santificazione popolare. Questo è il caso del cranio di Donna Concetta, la cui particolarità è quella di avere sempre il cranio lucido.
Il culto era particolarmente praticato negli anni del secondo conflitto mondiale e del primo dopoguerra, ma data la sempre più crescente diffusione del fenomeno l'adozione delle capuzzelle venne vietata il 29 luglio 1969 mediante un decreto del Tribunale ecclesiastico per la causa dei santi, in quanto oggetto di una fede pagana.
Dal 2010 il sito è stato aperto definitivamente al pubblico grazie ad una pacifica occupazione della gente del rione.
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